Ci sono due parole che spesso, specie in tempo di crisi, pronunciamo insieme: giovani e lavoro. E quasi sempre sono affiancate da numeri di allarmare: il 35% di under 24 che non lavorano e, i due milioni che non studiano e non lavorano.

Chi incrociamo al Centro Meta arriva talvolta con quel “non so cosa voglio fare” o caratterizzati da un vissuto di inadeguatezza che rafforzano ancor più il disorientamento rispetto al proprio percorso di studi e di vita.

Ci chiediamo spesso che fare?

Occorre accoglienza e compagnia. Il punto di partenza sono dei volti. Quelli di chi fa fatica, che ti raccontano le loro storie, ammettendo fragilità accanto ai loro sogni. Bisogna mettersi in ascolto, con pazienza attendere che escano dal loro guscio, consapevoli che non abbiamo da offrire risposte immediate.

E poi mettersi a fianco, come educatori, aiutandoli a faticare, a pensare, a mettersi alla prova, sapendo che si può sbagliare; a far venir fuori tutto quello che sono, secondo capacità e inclinazioni.

Occorre generosità e fede. Quella di chi nel volontariato mette la sua professionalità negli spazi dei laboratori, che si fa “maestro di bottega” e testimone di vita; di chi sostiene i percorsi formativi, le borse di studio e lavoro.

E poi occorre lo sguardo materno di Maria sopra i suoi figli, soprattutto su quelli che, nonostante tutto, spalancano le braccia alla vita. Quella vera e bella.