Chiudiamo gli occhi per un attimo. Immaginiamo di sentire il profumo di un buon pranzo preparato con cura: salsa di pomodoro e basilico, arrosto, verdure con fritto di pesce. Si uniscono le voci di persone che chiacchierano, qualcuna più allegra e qualcun’altra più pacata, come sottofondo il suono leggero di posate e bicchieri.

Siamo in mensa, un formidabile luogo d’incontro. Al Patronato San Vincenzo, e non solo qui, prima ancora di sedersi per la consumazione del pasto, la mensa è convivialità, è condivisione. A partire da chi allestisce lo spazio, dai cuochi che provvedono a preparare di volta in volta menù diversi usando ciò che hanno a disposizione.

C’è poi chi, come noi volontari, si occupa della distribuzione delle pietanze e poi gli ospiti che ogni sera riempiono la sala. Alla fine il riordino degli ambienti tocca di nuovo a volontari e commensali, reclutati per questo compito a turno.

 

Condividere tempo, lavoro, cura e cibo

Si condivide un po’ di tempo, uno spazio e la cena. C’è chi la prepara e chi la consuma, ma insieme. Questo per me accade ogni venerdì dalle 17.45 alle 19.15, da qualche tempo a questa parte. Entro così dietro le quinte di una realtà ampia e ricca di sfaccettature.

Indossata la divisa d’ordinanza, un bel grembiule bianco di carta, si assicura agli ospiti che sopraggiungeranno di lì a poco la distribuzione della cena unita a cordialità e gentilezza. Qualcuno già attende all’ingresso, qualcun altro arriverà dopo il lavoro con indosso ancora tuta catarifrangente e stivali.

In sala è tutto in ordine e al banco ci si alterna per sistemare primi, secondi e contorni e poi tutto ciò che occorre come posate e bicchieri, pane, dolce e frutta. Non manca proprio nulla. Nemmeno la voglia di sorridere e regalare un po’ di serenità. La mensa si anima fin dall’inizio grazie ai saluti di chi regala un pezzetto del proprio tempo agli altri.

Fra i volontari c’è chi è impiegato, chi insegna, chi studia all’università, chi semplicemente ritaglia un angolo di sé. Arrivano a dare una mano anche volontari della Croce Rossa Italiana e non solo. Quattro o cinque persone per ogni turno.

 

Sono gli occhi che parlano per primi

Ci si saluta e si scambiano quattro chiacchiere, scherzando su che ci sarà di buono e domandandosi chi verrà quel giorno o perché qualcun altro sia in ritardo. Chi sono gli altri per i quali si è presenti? Alcuni si impara a conoscerli come frequentatori più assidui, altri sono soltanto di passaggio. Padri di famiglia in un periodo difficile, ragazzi in cerca di un impiego, qualcuno che si arrangia come può. In tempo di pandemia il numero di ospiti si è ridotto ai soli ospiti interni al Patronato, e dalle 18 alle 19, orario di distribuzione della cena nella stagione invernale, non c’è più quel numero alto di persone che compone una fila infinita in attesa che il vassoio o la “schiscetta a portar via” venga rifornita. I volti sono diversi, eppure in qualche modo simili.

Oltre la carnagione e l’età, nonostante le mascherine, sono gli occhi che parlano per primi. A volte soltanto loro. C’è chi è felice e sorridente, nonostante tutto, e chi invece non ha proprio voglia nemmeno di salutare e a malapena incrocia lo sguardo di chi gli è davanti. Alcuni sono assorti nei propri pensieri, altri sono inquieti. Chi frequenta la mensa da molto tempo, sia come volontario sia come commensale, ha una dimestichezza e familiarità che si riconosce a colpo d’occhio. A salutare ed abbracciare tutti, almeno idealmente in tempi di Covid, è don Davide Rota, che ha sempre in serbo un sorriso e una battuta. Per chi, una volta cenato, se ne va e per chi si ferma, come noi volontari, per riordinare e pulire. Non sapremo mai quanto bene può fare un semplice sorriso.

 

Testimonianza di Laura Signorelli pubblicata su Santalessandro.org